IL GIUDICE DI PACE Nella causa tra Palmieri Stefania contro La Fondiaria - SAI S.p.a., a scioglimento della riserva formulata all'udienza dell'8 ottobre 2003, in relazione alla eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 7 aprile 2003, n. 63, sollevata d'ufficio, ha emesso la seguente ordinanza. Fatto e diritto Con atto di citazione per l'udienza del 16 maggio 2003 la Palmieri Stefania conveniva innanzi codesto giudicante La Fondiaria - SAI S.p.a. per veder riconosciuto il proprio diritto alla ripetizione della somma di euro 499,11 indebitamente versata dall'attrice alla societa' convenuta in esecuzione di un contratto di assicurazione RCA per le proprie autovetture Citroen AX tg. Roma 58229W, Fiat 500 tg. AG692NY e Citroen AX 101 3P tg. AL98lCL durante gli anni dal 1994 al 2003. Il tutto in relazione alla pronuncia del 27 febbraio 2002 del Consiglio di Stato che ha confermato la multa comminata dall'Autorita' garante per la concorrenza a La Fondiaria - SAI S.p.a. (unitamente ad altre compagnie di assicurazione) per costituzione di un cartello, vietato dalla legge, al fine di aumentare i costi delle polizze assicurative. All'udienza del 16 maggio 2003, costituitasi la convenuta la causa veniva rinviata per controdeduzioni dell'attrice al 1° luglio 2003 ed in quella udienza rinviata ancora per precisazione conclusioni alla udienza del 6 ottobre 2003 e poi d'ufficio a quella dell'8 ottobre 2003. A quest'ultima udienza giudicante sollevava di ufficio sospetto di incostituzionalita' dell'art. 1 legge n. 63/2003 che esclude dal giudizio secondo equita' indipendentemente dal valore della domanda, le cause relative ai contratti stipulati ex art. 1342 c.c. La questione di incostituzionalita' sollevata appare innanzitutto rilevante ai fini della decisione del presente giudizio in quanto da essa dipende la applicabilita' o meno alla fattispecie in esame del principio di equita' ex preesistente art. 113 c.p.c. Essa inoltre appare pon manifestamente infondata, al di la' anche delle specifiche argomentazioni dell'attore, per le seguenti Motivazioni Il giudizio di equita' necessaria ex art. 113 c.p.c. e' stato soggetto, nel nostro ordinamento, com'e' noto, ad una significativa estensione, sia quantitativa che qualitativa. Quanto al primo aspetto vanno ricordate: la legge n. 389/1984 che amplio' la competenza per valore del giudice conciliatore innalzandola a L. 1.000.000 e lasciando inalterato il diritto/dovere dello stesso conciliatore a decidere secondo equita', sino al limite massimo della sua competenza; la legge n. 374/1991, istitutiva del giudice di pace, che ha ampliato tale diritto/dovere sino al limite di valore di due milioni di lire italiane; la stessa legge n. 63/2003, il cui art. 1 e' oggi oggetto di censura, che ha ritoccato verso l'alto, sia pure di poco, questo valore portandolo ad euro 1.100,00 (pari a 2.130.000 vecchie lire). Quanto al secondo aspetto, quello qualitativo, va ricordata la pronuncia delle sez. unite della suprema Corte n. 716/1999 che, innovando o quantomeno definendo autorevolmente una linea di orientamento precedentemente contrastata, ha sentenziato che «Il g.d.p., nelle pronunce secondo equita', non e' tenuto al rispetto dei principi regolatori della materia, ne' dei principi generali dell'ordinamento giuridico, ma soltanto all'osservanza delle norme costituzionali o comunitarie ...». Il favore con il quale il nostro ordinamento guarda all'allargamento della equita' necessaria ha molteplici motivazioni. Vi e' certo una esigenza di economia processuale per le dispute di valore minore, ma senza dubbio della stessa rilevanza sono ragioni di giustizia sostanziale (del caso concreto) che mirano a tutelare il diritto alla difesa dei cittadini, ponendolo al riparo, nei suddetti casi di limitato valore, da una complessa e dispendiosa attivita' giudiziaria (sia pure soltanto eventuale) attraverso la previsione della non appellabilita' delle sentenze rese secondo equita'. In aggiunta, la esistenza di una componente di garanzia verso i soggetti non abbienti (economicamente deboli), insita nei meccanismi del giudizio secondo equita', e' evidenziata sia dalla esenzione prevista per il contributo ubicato, sia dalla norma dell'art. 82 c.p.c., primo comma, che, nella versione precedente alla istituzione del G.d.p., consentiva alla parte di stare in giudizio personalmente innanzi al conciliatore (coincidenza assoluta quindi tra questa facolta' e la pronuncia secondo equita). Istituito il g.d.p. ed ampliato sino a due milioni di lire il giudizio di equita', la possibilita' di stare in giudizio personalmente e' rimasta inalterata sino ad un milione di lire, ma tale diritto e' stato esteso, sia pure attraverso la previsione di un provvedimento del g.d.p. che «in considerazione della natura e della entita' della causa» puo' autorizzare la parte a stare in giudizio personalmente, anche nelle cause eccedenti il suddetto valore. Tale previsione, pur esistente precedentemente per i giudizi innanzi il Pretore, non vi e' dubbio oggi si colleghi oggettivamente alle altre norme sul giudizio di equita'. Si potrebbe dire insomma che il diritto alla difesa costituzionalmente garantito trova nel nostro ordinamento giuridico diverse formulazioni ed espressioni e che il combinato disposto delle norme sul giudizio di equita' ex precedente art. 113 c.p.c., sulla possibilita' di stare in giudizio personalmente nelle cause che non superino il valore di un milione di lire, e sulla esenzione dalle spese di giustizia, identifichi una delle particolari configurazioni del diritto alla difesa costituzionalmente garantito. Quella cioe' di rivolgersi al g.d.p. per vedere definite nel merito le cause di valore non superiore al tetto definito, sulla base di un giudizio di equita', senza dover affrontare spese di iscrizione a ruolo, senza dover affrontare le lunghe e costose pratiche per una eventuale causa in appello e, almeno per le cause di valore non superiore al milione, senza i costi di un legale. Questa particolare configurazione del diritto alla difesa appare «consustanziale» allo istituto del giudice di pace che diventa cosi', per le cause sino al valore definito, il giudice dell'equita'. Quanto sopra e' per converso dimostrato dal fatto che quelle materie nelle quali il legislatore ha inteso non riconoscere questo diritto (e cioe' non prevedere il giudizio secondo equita) non sono ricomprese nell'ambito della competenza del g.d.p., come ad esempio le cause di lavoro, o in materia locatizia. Fatta questa lunga premessa, e tenuto conto, per quanto specificamente riguarda le fattispecie concrete delle ripetizioni di indebito chieste alle compagnie di assicurazione RCA in collegamento con la nota pronuncia dell'Antitrust, che la sentenza n. 14475/02 della Corte di cassazione ha riconfermato la competenza del g.d.p., appare non manifestamente infondata l'ipotesi che la norma censurata violi il principio di eguaglianza ed il diritto di difesa ex artt. 3 e 24 della Costituzione. Per quanto riguarda la violazione del principio di eguaglianza, essa infatti introduce una disparita' di trattamento nei giudizi innanzi il g.d.p. che non appare giustificata da una specificita' della materia, ma da una specificita' del contenitore giuridico, che potrebbe essere applicata da parte del contraente piu' «forte» a qualsiasi tipologia di transazione commerciale, con danno evidente dei contraenti piu' deboli (i consumatori). Basti pensare a qualsiasi forma di vendita rateale di beni o servizi (libri, palestre, beni di consumo durevoli e non) che gia' sono in gran parte, ma ancor piu' potrebbero essere in futuro ricondotte artatamente entro l'ambito del 1342 c.c. al fine di evitare i giudizi secondo equita'. Gia' questa osservazione sembra far giustizia della piu' volta evocata esigenza di standardizzazione per i giudizi relativi a tipologie di servizi che riguardano una grande massa di utenti (come appunto le assicurazioni, i telefoni, l'elettricita ...). La norma del 1342 puo' coprire infatti anche il contratto di adesione del Club XYZ che gestisce la piscina sotto casa: dov'e' allora questa ratio? Ma c'e' di piu', proprio per i servizi a maggior rilevanza (assicurazione, telefono, elettricita', fornitura di gas e di acqua ....) la configurazione del diritto alla difesa di cui si e' parlato, che tutela il contraente per definizione piu' debole, costituisce un valore primario da garantire; cio' in considerazione del fatto che per la maggior parte di questi contratti di massa e' invalsa ormai la regola o la prassi di non far piu' sottoscrivere le norme del contratto al consumatore, ma di rinviare lo stesso a libretti prestampati o addirittura a regolamenti predeterminati da altri soggetti e difficilmente accessibili al normale consumatore, sia da un punto di vista materiale che di «comprensione» degli articolati. Se a questa circostanza si aggiunge l'altra che il normale consumatore non puo' fare a meno di questi servizi (per la RCA vi e' addirittura un obbligo giuridico), si giustifica, al contrario, pienamente, la ratio del diritto ad un giudizio secondo equita', con i limiti di valore previsti, per garantire al consumatore una giustizia del caso concreto e non fondata sulla necessaria e puntuale applicazione delle regole del diritto formale o peggio sui complessi apparati di regole che le grandi imprese che gestiscono questi servizi sono in grado di (e spesso hanno interesse a) formulare. In ogni caso la norma censurata appare in contrasto con il terzo comma dell'art. 24 della Costituzione, ritenendosi da parte di codesto giudice che il combinato disposto degli artt. 82 e 113 (precedente formulazione) c.p.c. nonche' delle correlate norme sulle spese di giustizia, rappresenti uno degli istituti previsti al fine di garantire senza spese la difesa ai soggetti non abbienti innanzi al g.d.p., sino alla completa definizione delle questioni di merito. Possibilita' vanificata da un (sia pur eventuale) gravame in sede di appello. Il giudizio in corso va quindi sospeso ed a norma della legge n. 87/1953 i relativi atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale.